di Paolo Bonacini, giornalista
Nove anni di reclusione. È la pena inflitta a Carmine Sarcone dalla Corte d’Appello di Bologna, presieduta dal giudice Gabriella Castore, per appartenenza alla cosca di ‘ndrangheta operante in Emilia Romagna. O meglio, per usare le parole del collaboratore di giustizia Antonio Valerio, per essere stato “il reggente a piede libero” della cosca tra il 2015 e il 2018, quando i suoi fratelli maggiori, Nicolino e Gianluigi, erano già dietro le sbarre.
La decisione della Corte d’Appello arriva nel pomeriggio di martedì 3 novembre 2020 e aggiunge un altro solido mattone al muro alzato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna contro la ‘ndrangheta degli affari insediata in regione. La famiglia Sarcone rappresenta la cabina di regia con base a Bibbiano (RE) di questa organizzazione criminale il cui capo assoluto, Nicolino Sarcone, ha sulle spalle una condanna definitiva a 15 anni in Aemilia e il prossimo 25 novembre affronterà l’appello per gli omicidi del ’92, dopo la condanna in primo grado (abbreviato) a 30 anni.
Carmine Sarcone, oggi 41enne, venne arrestato la notte del 23 gennaio 2018 a Cutro, nell’appartamento della suocera. Su di lui convergevano le testimonianze di tutti e tre i collaboratori di giustizia del processo Aemilia: “È la faccia, diciamo, bella della famiglia” spiegava Antonio Valerio “mentre Gianluigi (19 anni e 10 mesi in primo grado) è quella intelligente”. Rincarava la dose Salvatore Muto: “Lui (Carmine) è stato l’ago della bilancia dei Sarcone, perché dal momento che sono stati arrestati sia Nicolino che Gianluigi, c’erano i fatti criminosi, rapine, truffe, spaccio, che se ne occupava Carmine. Lui gestiva e ha tenuto vive le conoscenze; ha fatto valere il suo cognome a Reggio Emilia. Perché non è che i Sarcone erano arrestati e nessuno comandava della famiglia Sarcone. Loro svolgevano l’attività normalmente. E questo l’ha fatto Carmine Sarcone”. Completava il quadro sul versante economico Giuseppe Giglio: “Per le false fatturazioni Carmine Sarcone aveva sempre della liquidità. Non aveva problemi se doveva portare 100, 200mila euro in contanti”. Per chiudere il cerchio anche il collaboratore storico e spina nel fianco della ‘ndrangheta cutrese, Angelo Salvatore Cortese, precisava: “Carmine Sarcone fa parte della ‘ndrangheta. Non so se sia affiliato però fa parte della ‘ndrangheta perché è al corrente di tutte le operazioni illecite che facevano i fratelli: sia Nicolino che Gianluigi e Giuseppe”.
I Sarcone insomma, secondo le ricostruzioni di Aemilia, non sono una famiglia qualsiasi, ma la più importante, almeno a Reggio Emilia. Sempre Valerio: “I fratelli Sarcone hanno il comando su Reggio Emilia a livello ‘ndranghetistico, e sotto l’aspetto criminale sono un tutt’uno. Viene un casalese, viene chi so io, si deve rivolgere a Nicolino. Dove “rivolgersi” in questo caso significa riconoscere il potere di controllo della famiglia sul territorio.
Di questo gruppo di famiglia autorevole e coeso Carmine Sarcone è il più giovane e rappresenta quella ‘ndrangheta “più evoluta, più elettronica, più tecnologica” propria dei giorni nostri. Lui non ha fatto parte del primo periodo e della stagione di sangue del ’92, quando i fratelli erano già attivi, ma nel “2000 ha cominciato ad entrarci dentro in modo più diretto nelle cose, nella ‘ndrangheta. Carmine non è ladro come Peppe, è più… fighettino, più delicato nelle cose, più sofisticato… Però l’usura se la faceva. E come! (Valerio)”.
Dopo queste testimonianze arrivano le indagini e i riscontri della DDA che dimostrano “la gestione diretta dell’attività e del patrimonio illecito” da parte di Carmine Sarcone e la partecipazione alle riunioni tra gli esponenti della consorteria durante le quali, secondo gli inquirenti, erano pianificati i crimini della cosca e venivano prese le decisioni per mantenerla e rafforzarla. Carmine avrebbe inoltre avuto il ruolo di rappresentante dei fratelli detenuti, con compiti direttivi, e il compito di dirimere i contrasti interni alla struttura. Sono emersi anche “continui scambi di informazioni” tra esponenti detenuti e in libertà, attraverso colloqui in carcere con i parenti. Infine le indagini hanno permesso di raccogliere elementi indiziari sempre contro Carmine Sarcone sui tentativi di indottrinare e minacciare alcuni testimoni del processo Aemilia.
La condanna in primo grado, nel giugno 2019, l’aveva stabilita il Gup Alberto Gamberini nel rito abbreviato: 10 anni. Anche oggi, come allora, a difendere Carmine sono stati due avvocati blasonati: Salvatore Staiano e Stefano Vezzadini, ma la condanna è confermata anche se ridotta a 9 anni. La Corte d’Appello ha deciso anche la confisca di una abitazione dei Sarcone a Cutro, in via Kennedy, e del 95% di quote societarie dell’impresa “Le due Torri” a Reggio Emilia in via Martiri di Cervarolo.
La sentenza su Carmine Sarcone arriva pochi giorni dopo un’altra importante decisione della Cassazione che conferma in via definitiva la condanna a 6 mesi di reclusione per Pasquale Brescia, accusato di avere scritto una lettera contenete minacce mafiose al sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, recapitata al quotidiano Il Resto del Carlino e poi pubblicata. Poche settimane prima, il 13 ottobre, Pasquale Brescia era stato condannato dalla Corte d’Appello di Aemilia a 13 anni. La sua posizione era stata stralciata per una questione procedurale riguardante proprio la lettera inviata al sindaco, e così Brescia passerà alla storia come il primo condannato nell’appello del più grande processo alla ‘ndrangheta in Italia.
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