Verità per Giulio Regeni

SESENA: UN PATTO SOCIALE PROVINCIALE DEVE METTERE AL CENTRO IL LAVORO

Mancano pochi giorni alla prima scadenza del blocco dei licenziamenti, il 30 giugno 2021, che riguarderà i settori industriali e manifatturieri, mentre per il terziario genericamente inteso il blocco durerà fino a fine ottobre.
Come CGIL avremmo desiderato un tempo più lungo per tutti i settori, per consentire la messa in campo di strumenti nuovi che anticipassero una riforma complessiva e universale degli ammortizzatori sociali. Attualmente, e l’emergenza pandemica lo ha ulteriormente certificato, le tutele sono a geometrie variabili (troppo variabili) a seconda che un lavoratore sia autonomo o subordinato, a tempo determinato o a tempo indeterminato, assunto da una azienda anziché da un’altra.

Il blocco dei licenziamenti, misura unica in tutta Europa, ha avuto il pregio di evitare che alla polverizzazione dei posti di lavoro che già è avvenuta e di cui troppo poco si parla (mi riferisco ai lavoratori non subordinati e a termine) si aggiungesse quella dei dipendenti, creando le condizioni per l’esplosione di una bomba sociale pericolosa che avrebbe ulteriormente smagliato un tessuto sociale già fortemente stressato dalle misure di contenimento e dalle restrizioni adottate in questo anno per contrastare la diffusione del Covid.
Non possiamo ora permetterci il lusso di attendere gli eventi.
Dal nostro osservatorio regionale ci giungono dati preoccupanti che certificano l’utilizzo, su scala provinciale, nel bimestre (gennaio – febbraio 2021) di 2.117.460 ore di cassa integrazione.
Se sul piano nazionale la nostra interlocuzione col Governo continuerà a partire dalla conversione in legge del decreto Sostegni sul piano locale è il momento della responsabilità e del dialogo. Un dialogo però che deve avvenire nel merito dei problemi, e su basi fin da subito chiare.

Per arrivare a eventualmente condividere un patto sociale è necessario insediare un tavolo generale di indirizzo ( di profilo comunale e provinciale) che metta al centro la difesa dei posti di lavoro a rischio, il contrasto al lavoro povero, la creazione di nuova e buona occupazione e che capitalizzi, tra le altre cose, quanto già in discussione nei singoli tavoli specifici.

Non può esistere, secondo noi, un nuovo modello di società che nasca dalle ceneri di quello vecchio, messo in crisi dalla pandemia, che non sia improntato alla promozione convinta di una nuova cultura del lavoro.
Il lavoro deve essere centrale anche per le imprese, deve essere oggetto della loro volontà di investire per crescere; un lavoro professionalizzato e formato in cui l’intelligenza delle persone sia messa a valore, in cui la partecipazione sia una scelta convinta di tutti.
Coerentemente, anche il lavoro pubblico (il Comune è, giova ricordarlo, datore di lavoro) deve essere di qualità e adeguatamente valorizzato se vuole fornire alti standard di servizi ai cittadini. Appalti ed esternalizzazioni non possono essere l’eccezione a questa regola o l’unica risposta alle criticità di bilancio, ma debbono coniugare elevati parametri di riferimento delle prestazioni erogate e dei risultati attesi con la tutela dell’occupazione e di adeguati riconoscimenti retributivi e normativi dei lavoratori coinvolti. Urge, se si condivide questa impostazione, arrivare ad una fase conclusiva del confronto sulla regolamentazione degli appalti pubblici che da tempo abbiamo proposto e la cui definizione sta incontrando ritardi non sempre comprensibili.
A livello regionale è stato sottoscritto il Patto per l’ Occupazione e per il Clima, un accordo importante che va declinato alle esigenze del nostro territorio.

Il confronto, che auspichiamo si apra presto, dovrà essere improntato non solo alla lotta alle vecchie e nuove povertà e alla gestione delle eventuali emergenze occupazionali, con l’obbiettivo di “licenziamenti zero”, ma anche all’impostazione di strategie che guardino al futuro, che parlino il linguaggio della sostenibilità ambientale, e dell’innovazione tecnologica. In tal senso va approntata una discussione sulla destinazione dei fondi europei- anche nell’interlocuzione che dovrà esserci con la Regione- che articoli una progettualità “reggiana” per lo sviluppo e l’identificazione delle filiere sulle quali costruire la Reggio socio-economica del futuro e la fisionomia stessa della nostra città (e dell’intera provincia).
Il sindacato non ha solo la volontà ma anche il dovere di formulare proposte e condividere idee. Non può esserci ripartenza senza il contributo di chi lavora.

Cristian Sesena, Segretario Cgil Reggio Emilia

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