di Paolo Bonacini, giornalista
Le operazioni finanziarie sospette crescono in modo vertiginoso in tutto il Paese e soprattutto in Emilia Romagna, superando del 40% nel primo semestre il già impressionante volume dei 215 miliardi del 2020
Il sospetto che siano sempre di più le operazioni finanziarie illecite frutto di attività delinquenziali nel nostro Paese, è più che un sospetto. Lo possiamo definire una certezza.
Per una semplice ragione: le operazioni sospette crescono in modo vertiginoso e la UIF, la Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia che si occupa del tema, ci presenta dati impietosi nei suoi periodici e rigorosi rapporti. Che ci dicono di riflesso quanto siano indispensabili il dovere e la tempestività della denuncia, per comprendere le dinamiche generali e consentire interventi di contrasto sui casi specifici.
A suonare il campanello d’allarme in Italia e, in particolare, nell’Emilia Romagna dove il fenomeno assume valori da codice rosso, sono ancora una volta la CGIL e i suoi esperti in materia. “Ancora una volta” sta a significare che se questo lavoro di divulgazione non lo facesse la CGIL, difficilmente i cittadini saprebbero cosa sta succedendo. Quasi che 215 miliardi di euro, il volume complessivo delle operazioni sospette del 2020, fossero una bazzecola. Quasi che i dati del primo semestre 2021, in vertiginoso aumento soprattutto nella nostra regione (+ 40,8% rispetto al primo semestre 2020, contro una media nazionale di +32,5%) non aggiungessero sconforto a sconforto.
Franco Zavatti, del coordinamento Legalità e Sicurezza dell’Emilia Romagna, parla di “incredibile crescita” e definisce “terribile” questo dato. Luciano Silvestri, responsabile Legalità e Sicurezza della CGIL nazionale, aggiunge che già l’anno scorso i 41 milioni di operazioni segnalate che riguardavano movimentazioni per banconote, evidenziavano la “grave anomalia italiana”, se si pensa che “la parte più rilevante dei reati di ogni risma passa dall’uso del denaro contante”.
Ad aggravare il già fosco quadro si aggiunge la pandemia. Dice la UIF: “Il 2020 è stato l’anno del Covid 19 (e il 2021 non è da meno) che ha sconvolto le vite, le dinamiche sociali, le economie, creando nuovi spazi per comportamenti illeciti favoriti dal distanziamento sociale e dall’emergenza”. La preoccupazione resta alta, visti gli 8,3 miliardi di euro di operazioni sospette, principalmente nella compravendita di materiale sanitario e nell’utilizzo di finanziamenti pubblici e contributi a fondo perduto. Ai primi tre posti nelle movimentazioni di denaro sospette legate all’emergenza sanitaria stanno le regioni Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna.
Più in generale, riferendoci a tutte le operazioni sospette, delle quali solo l’8,4% è stato giudicato “poco rilevante”, l’Emilia Romagna è quarta, preceduta per pochi numeri anche dalla Campania. Le segnalazioni arrivate dalla nostra regione in questo primo semestre sono 4.902: “come a dire 27 casi di sospetto riciclaggio al giorno” commenta Franco Zavatti.
La città con maggiori segnalazioni è Bologna (1.105 casi), seguita da Reggio Emilia (723) e Modena (647). In rapporto alla popolazione ben 4 province emiliano romagnole stanno tra le peggiori 25 dell’Italia: Reggio, Parma, Rimini e Ravenna.
Un altro triste primato della nostra regione è sul Money Transfer, con 60 milioni di euro di trasferimenti sospetti verso paesi esteri e paradisi fiscali. Tra le 25 province italiane con i maggiori volumi di denaro in uscita ci sono Piacenza, Parma, Bologna, Rimini e Ravenna. I principali paesi destinatari dei trasferimenti, che da soli assorbono il 40% del denaro sospetto che varca le frontiere, sono nell’ordine Senegal, Romania, Marocco e Albania, sebbene nell’elenco delle prime 20 nazioni legate all’Italia per volume di interscambio commerciale lecito, compaia la sola Romania, in fondo alla graduatoria.
“Siamo tra le regioni con imprese, professionisti e prestanome maggiormente coinvolti nei traffici finanziari illeciti coi Paesi stranieri” aggiunge sempre Zavatti, segno di “una imprenditoria più cedevole ai reati fiscali, alle false fatturazioni, al lavoro nero e alle truffe contributive”. Cioè alla creazione di fondi neri che poi debbono essere recuperati attraverso il riciclaggio in casa o all’estero. Del resto il 20% di quel mare di miliardi di euro indagato dalla UIF nel 2020 riguarda truffe ed evasioni fiscali realizzate in particolare attraverso società cartiere.
Altro segnale poco incoraggiante ma sintomatico dell’andazzo è dato dai centri e dalle istituzioni che per legge sono tenuti alla comunicazione delle operazioni sospette. Scrive Luciano Silvestri: “Una evidente criticità è che rimangono molto scarse le segnalazioni provenienti dalle pubbliche amministrazioni, segno di una preoccupante scarsa attenzione da parte delle istituzioni. Probabilmente c’è anche scarsa conoscenza della normativa antiriciclaggio finalizzata ad evitare un uso distorto o illegale delle risorse pubbliche”. I dati dicono che la scarsa attenzione è contagiosa, come evidenzia Zavatti: “Di tutti gli enti e organismi tenuti ed obbligati per legge a segnalare ogni operazione finanziaria sospetta di illecito riciclo, i più attivi sono banche e poste. Anche i professionisti hanno l’obbligo di segnalare i loro clienti sospetti, ma delle oltre 70mila segnalazioni dell’ultimo semestre, dai notai sono partiti solo 2.479 avvisi. Mentre le tante migliaia di avvocati italiani hanno inviato 16 segnalazioni in tutto: neanche una per regione”.
Resta evidentemente legittimo il dubbio che le operazioni sospette non siano automaticamente o tutte truffaldine. Anzi, è doveroso crederlo. Ma ad avvalorare i dati della UIF, e a farci capire che quei dati non sono aria fritta, arriva in soccorso la cronaca.
Il 14 luglio scorso la Polizia di Modena ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare per 10 persone attive in una organizzazione criminale esperta in bancarotte fraudolente, riciclaggio, falsi in atti pubblici, evasione d’imposta.
Vi facevano parte secondo la Procura di Modena due avvocati e un notaio modenesi, un ingegnere di Bologna e due commercialisti, di Milano e di Modena. Assieme a loro diversi prestanome che presentavano proposte di concordato preventivo col falso intento di salvare imprese in difficoltà, in modo da poterle così svuotare di ogni bene e risorsa prima dell’inevitabile fallimento. Alla fine le aziende erano scatole vuote, mentre le risorse sottratte venivano reinvestite dai professionisti in attività finanziarie all’estero, in particolare in Bulgaria, o utilizzate per l’acquisto di beni personali di lusso. Dal 2016 in poi avevano messo in piedi un oliato sistema che oltre a generare movimentazioni finanziarie sospette si avvaleva anche di falsi documenti e sigilli postali contraffatti.
Un sistema “oliato” per definizione è quello messo in piedi da un commercialista e dall’amministratore di fatto di una società modenese che, apprendiamo in questi giorni, sfruttava una triangolazione attraverso la Bulgaria per far giungere in Italia oli lubrificanti provenienti dal Belgio senza pagare le dovute imposte. Carabinieri e Ufficio delle Dogane hanno svelato il meccanismo, evidenziando 8 milioni di euro di imposte evase e il Tribunale ha condannato i responsabili a due anni e quattro mesi ciascuno di reclusione.
A Bologna, sempre nei giorni scorsi, è iniziato il procedimento a carico di tre persone tra cui la titolare di due cooperative denominate Angeli Azzurri e Nuovi Angeli, che però di angelico avevano assai poco. Assumevano secondo i capi di imputazione persone, prevalentemente donne straniere in stato di bisogno, sottoponendole a condizioni di sfruttamento, pagandole poco, senza contribuzione, e facendole lavorare con orari massacranti. A subire le conseguenze erano anche le persone non autosufficienti a cui le cooperative si impegnavano a fornire assistenza domiciliare e alle cui famiglie venivano chiesti pagamenti anticipati, assicurando rimborsi dagli enti pubblici che non sarebbero mai arrivati. Secondo i calcoli della Camera del Lavoro di Bologna, che si è costituita parte civile, alle badanti sfruttate sono stati frodati in questo modo almeno mezzo milione di euro. Anche in questo caso si facevano carte false per eludere gli obblighi di legge ed evitare di inciampare sui controlli, cambiando spesso la ragione sociale della cooperativa o dell’agenzia per la quale lavoravano le donne straniere.
Dalle piccole e false cooperative di assistenza ai consorzi di facciata ai quali si rivolgono le grandi multinazionali della logistica; dal caporalato in agricoltura e nel segmento agroalimentare alle raffinate strategie di conquista dei mercati nella meccanica di precisione, il discorso non cambia. Il sequestro di 20 milioni di euro compiuto il mese scorso dalla Guardia di Finanza di Milano che ha indagato il colosso DHL Italy, ci dice che la sostanza è la medesima: società cartiere, false imprese e piccole cooperative che assomigliano alla Farfalla Monarca, tanto è breve la loro vita, regole d’ingaggio della mano d’opera degne dei secoli andati, evasione fiscale e contributiva, intermediazione, neutralizzazione del cuneo fiscale, falsa fatturazione, e via così.
In sostanza un mercato retto da un paradigma unico e quotidianamente aggiornato dalle notizie sulle inchieste che tentano di arginarne gli effetti devastanti: cancellare la normativa di tutela del lavoro e le relazioni sindacali, bloccare ogni trasferimento di risorse dovute alla comunità attraverso le imposte, fregarsene delle norme per guadagnare di più e spendere meno.
Che esista una relazione tra la diffusione di queste pratiche illegali e l’aumento esponenziale delle operazioni finanziarie sospette, soprattutto nelle ricche regioni del nord, non ci vuole un genio per comprenderlo. Forse sarebbe il caso di dedicare un po’ di tempo, in questa calda estate, a discutere non solo la riforma della Giustizia e del processo penale, ma anche e soprattutto la riforma del modello economico e delle regole di mercato che governano il presente. Due interrogativi di Franco Zavatti cadono a puntino per chiudere il discorso:
“Urge fare tanto per invertire questa pericolosa scivolata della nostra economia produttiva, commerciale e professionale, verso l’illegalità e le possibili infiltrazioni mafiose. Ma di fatto chi ne parla? Chi si muove?”
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