Verità per Giulio Regeni

PRIGIONITE E SCIACALLI

Cosa succede se importanti uomini di mafia, approfittando dell’emergenza coronavirus, ottengono gli arresti domiciliari come misura alternativa al carcere? Al tema, molto attuale, risponde giovedì 21 maggio in videoconferenza Antonio Valerio, che chiede di poter rilasciare una dichiarazione spontanea al presidente della Corte d’Appello di Aemilia, nell’aula del Tribunale allestita presso il carcere della Dozza a Bologna.

di Paolo Bonacini, giornalista

Cosa succede se importanti uomini di mafia, approfittando dell’emergenza coronavirus, ottengono gli arresti domiciliari come misura alternativa al carcere? Al tema, molto attuale, risponde giovedì 21 maggio in videoconferenza Antonio Valerio, che chiede di poter rilasciare una dichiarazione spontanea al presidente della Corte d’Appello di Aemilia, nell’aula del Tribunale allestita presso il carcere della Dozza a Bologna. Il collaboratore di giustizia ci regala una mezz’oro di monologo da par suo, animando una udienza che tratta quattro casi di altrettanti condannati, dei 130 circa, che hanno presentato ricorso alla sentenza di primo grado. Mezz’ora in cui Valerio spazia dal lirismo alla secca denuncia, dalla vita personale e famigliare alla vicenda collettiva della ‘ndrangheta emiliana, dall’invenzione di nuovi termini, che vanno ad arricchire il suo personale “Bignami del mafioso”, a dotte citazioni latine di gladiatoria memoria. Può farlo? Sì, nei modi stabiliti dall’articolo 494 del Codice di Procedura Penale, che lo obbliga ad attenersi all’oggetto dell’imputazione. Se non lo fa il presidente lo ammonisce e gli può anche togliere la parola. Valerio conosce bene questa norma e si tutela preventivamente dicendo che interverrà in merito al primo capo di imputazione che lo riguarda: il 416bis. Non un reato materiale specifico, quindi, ma la generica appartenenza all’associazione di stampo mafioso. Cautela che gli consente in seguito di parlare di tutto e di tutti. Cominciando da nuove scuse per avere appartenuto ad una organizzazione criminale che si pone l’obbiettivo di aggredire le risorse della cosa pubblica e depredare le casse dello Stato. “Mi vergogno profondamente e chiedo ancora scusa ai reggiani che ci hanno accolto a braccia aperte quando arrivavamo dalla Calabria con la valigia di cartone”. La ‘ndrangheta trae beneficio dalla sofferenza altrui, aggiunge, e nei momenti di difficoltà, come la pandemia da Covid 19, trova nuove occasioni per fare affari. É collegandosi a questo tema che Valerio lancia la prima frecciata ai suoi ex amici di avventura a Reggio Emilia: i Sarcone, Antonio Crivaro, Luigi Muto, Diletto, Floro Vito e via così. “L’unica vera malattia che hanno” dice “è la Prigionite”, perché stare in carcere non piace a nessuno; in carcere si soffre. E se il Covid consente di sperare negli arresti domiciliari, avanti con le domande anche da parte di chi è sano, anche se si hanno meno di 70 anni e non si corrono rischi. Cosa si può fare mentre ci si trova agli arresti domiciliari Antonio Valerio lo sa bene, e lo ricorda alla Corte: “Chi meglio di me ve lo può raccontare! Partendo da casa mia mentre ero ai domiciliari, io sono andato addirittura a Brescello travestito da carabiniere ad uccidere Giuseppe Ruggiero nel 1992, e 16 o 17 omicidi di quel periodo al sud sono stati commessi quando i capi che li ordinavano erano ai domiciliari. Avevano un canale preferenziale per ottenere i domiciliari grazie a malattie immaginarie. Ricordiamocelo. Se Nicolino Grande Aracri e gli altri uscissero ora per andare a casa, dai domiciliari finirebbero di ammazzare tutti quelli che mancano nella loro lista. Mandateli a casa e vedrete”.

Il resto della sua dichiarazione entra nella sfera privata delle relazioni con la ex moglie e con i figli, e su questa parte si può tranquillamente sorvolare. Non ha invece alcuna intenzione di sorvolare sulle accuse appena andate in onda Michele Bolognino, collegato a sua volta in video conferenza, che chiede la parola dopo Valerio. E’ l’unico capo emiliano che ha scelto il rito ordinario e che ora si trova in appello per cercare di rimediare ai 38 anni di carcere della prima sentenza. Poche parole, tono aggressivo, un fiume in piena contro il collaboratore di giustizia, con espressioni riassumibili in tre concetti: sei “uno sciacallo”, uno “sfruttatore”, uno che vuole fare la “primadonna”. Altri complimenti arrivano un minuto dopo da Alfredo Amato, 19 anni di condanna in primo grado, che normalmente è più morigerato del focoso fratello Francesco. Ma oggi anche Alfredo non si tiene: “Sei un povero tossico, non hai mai raccontato niente di vero, mai un fatto reale, preciso, ti inventi la ‘ndrangheta e io ti denuncio”. Poi interviene Giuseppe Vertinelli (poco meno di 30 anni in primo grado), per dire che lui ha un problema serio come dimostra la sua documentazione sanitaria e si deve curare i denti. Quando chiede la parola anche Francesco Amato, il giudice Pederiali lo invita a spostare la sua dichiarazione nell’udienza in cui verrà trattata la sua posizione, prevista a settembre. Francesco accetta e la seduta può finire.

Nell’aria resta l’odore della battaglia a distanza tra gli imputati. Forse prevedendola, o immaginando cosa potrà succedere in futuro, Antonio Valerio aveva chiuso il suo intervento parlando in latino: “Usque ad finem et ultra”. Avanti fino alla fine.

È il nuovo fronte della guerra di mafia nella nostra regione: non più con le armi come nel 1992 ma con le taglienti parole della videoconferenza.

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