Verità per Giulio Regeni

I RISCHI POST-COVID

“Nel corso dell’intero processo Aemilia sono emerse le proficue collaborazioni instaurate tra l’imprenditoria emiliana e la ‘ndrangheta. Analizzando una vicenda estorsiva è emersa la figura dell’imprenditore modenese Augusto Bianchini… Il suo rapporto con esponenti del sodalizio mafioso affonderebbe le radici in un tempo assai più risalente, grazie alla collaborazione instaurata sull’altro terreno elettivo di azione del binomio imprenditoria/‘ndrangheta, sarebbe a dire quello della falsa fatturazione.”

di Paolo Bonacini, giornalista

La preoccupazione che il Covid 19 sia visto dalla criminalità organizzata come una opportunità, più che una pandemia, è legittima, istintiva, ampiamente diffusa. Come e dove le consorterie mafiose possano o potrebbero cavalcare i drammi e le ferite prodotti dal virus, è già più difficile da mettere a fuoco. Il rapporto Istat 2020 fotografa un paese impoverito, sempre meno equo, dove “si è fermato l’ascensore sociale”. Viviamo una estate di “crisi”, con l’autunno alle porte che preoccupa. Le difficoltà di accesso al credito colpiscono come un virus parallelo sia imprese che cittadini e rappresentano senza dubbio il campo principale sul quale ‘ndrangheta, camorra e mafia siciliana cercheranno di giocare la loro partita. Attirate anche dai 35 miliardi di euro che il Viminale ha ripartito tra gli enti locali come misura di sostegno straordinaria. In un paese dove in un solo anno, il 2019, 50 enti locali (comuni, province, Asl) sono finiti in gestione commissariale per infiltrazione mafiosa, non è azzardato pensare che proveranno a portare a casa una parte della torta. Quel numero, 50, ci deve preoccupare perché, dice l’ultima relazione semestrale della DIA, la Direzione Investigativa nazionale che coordina le attività di contrasto alle mafie, “è il numero in assoluto più rilevante dal 1991, anno di introduzione della norma sullo scioglimento per mafia degli enti locali”.  Quindi è il numero più grande di sempre.

La relazione della DIA fotografa lo stato dell’arte, in riferimento alle attività delle mafie italiane, relativo al secondo semestre 2019. Ma ci propone anche un “inserto speciale” dedicato proprio al coronavirus e ai possibili ambiti di infiltrazione mafiosa nelle emergenze economiche e sanitarie di questo 2020.

Leggerlo è utile per comprendere i rischi che corriamo, preso atto prima di tutto che le mafie sono vive e vegete. Continuano a fare affari e continuano a raccogliere con le loro reti personaggi e istituzioni disponibili a stringere accordi nell’illusione dell’interesse comune. Salvo poi venire fritti in padella.

Dice la relazione in riferimento all’epidemia: “Saranno i lacciuoli della burocrazia che potranno favorire le mafie nell’accaparrarsi gli stanziamenti post-Covid, con danni particolarmente rilevanti per il Sistema Paese. La strada da seguire è quella di puntare sulla professionalità della classe dirigente ma anche e soprattutto sull’affidabilità e sul coraggio di saper operare scelte nella direzione di una intelligente semplificazione delle procedure antimafia”.

Parlare di “semplificazione delle procedure antimafia” fa venire qualche brivido perché l’idea che il nostro Paese sia appesantito e rallentato da una legislazione antimafia troppo puntigliosa e severa la cavalcano in genere gli avvocati difensori dei mafiosi, prima che la DIA. Quando la crisi morde la vigilanza va intensificata, ma il termine “semplificare” può significare l’esatto contrario. Sui rischi del cosiddetto “Decreto semplificazioni” entrato in vigore qualche giorno fa, il 17 luglio, si era già espresso chiaramente il segretario nazionale della CGIL Maurizio Landini: “I provvedimenti su appalti e subappalti sarebbero un modo per tornare indietro, non certo per andare avanti. I problemi veri sono l’illegalità, il lavoro nero, la criminalità organizzata anche perché siamo ancora il Paese del caporalato, della precarietà, della mancanza di tutele”. Un campanello d’allarme che Franco Zavatti, membro del Coordinamento Legalità della CGIL regionale, traduce in numeri e dati prendendo a riferimento il mercato regionale degli appalti pubblici e affiancandolo alle nuove norme che consentono l’affidamento diretto fino alla soglia dei 150mila euro (prima la soglia era 40mila). Per appalti di maggior valore le nuove norme prevedono procedure negoziate ma comunque senza bando anche oltre il milione di euro, con la sola differenza di un crescente numero di operatori invitati prima di effettuare la scelta per l’assegnazione.

Dice Franco Zavatti: “Qui non c’è la necessaria semplificazione delle procedure, spesso complicate, bensì una crescita del potere arbitrario del singolo ente pubblico, con un forte indebolimento dei controlli reali e facendo finta di dimenticare che gli appalti sono sempre più luoghi di corruzione, riciclaggio ed infiltrazioni mafiose”.

“Fare finta di dimenticare” si può tradurre in “fare apposta a dimenticare”: basti pensare a come la norma, che rende le mani degli amministratori molto più libere, sarebbe stata utilizzata in quelle 50 istituzioni pubbliche sciolte per infiltrazione mafiosa nel 2019…

Ma anche in una regione dove la legalità resta un valore, come l’Emilia Romagna, i rischi non sono indifferenti e per comprenderli basta fotografare, come fa sempre Franco Zavatti, la realtà degli appalti pubblici in regione relativa al primo semestre 2019. Sono stati assegnati 1624 appalti per lavori, con un costo totale di 1 miliardo e 101 milioni; 1825 appalti per forniture (1.346 milioni di euro); 2.701 appalti per servizi (5.234 milioni di euro). Nel settore dei lavori pubblici le imprese extraregionali si sono aggiudicate il 31% degli appalti proponendo offerte al ribasso in media del 20,3%, contro una media di ribassi del 14% proposta dalle imprese regionali. Come fanno ad offrire prezzi così bassi queste aziende che hanno oltretutto alti oneri di trasferta? Le risposte sono semplici: “Lavoro poco regolare, Coop fasulle, Catene amichevoli di corruzione”. Nel settore forniture, sempre in Emilia Romagna, le cose vanno ancora peggio: oltre il 70% degli appalti è stato vinto da imprese venute da fuori regione, in particolare dal Sud, con ribassi medi del 22,5%.

Se in quel primo semestre 2019 fosse già stato in vigore il decreto semplificazioni, cosa sarebbe successo in Emilia Romagna? Zavatti fa presto a fare i conti: il 58% degli appalti si poteva affidare direttamente “a chi si voleva”, e su 655 appalti (in provincia di Modena) 651 si potevano concedere direttamente con trattativa privata dopo aver consultato solo cinque imprese.

I rischi di arbitrio a ben vedere sono enormi, e “se questo è il quadro di casa nostra” conclude Franco Zavatti “pensiamo a cosa può succedere in tutte le altre regioni italiane”.

È per questo che il calore col quale la Direzione Investigativa Antimafia sostiene nella sua ultima relazione semestrale la “semplificazione” suscita qualche perplessità. Anche se poi è la stessa DIA a mettere i paletti, cioè a sottolineare i rischi, che la “necessità e urgenza di realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure” come dice la legge, comporta.

Scrive la Direzione Investigativa: “La classe dirigente del Paese dovrebbe essere consapevole che le mafie sanno muoversi in anticipo”. E che in passato “hanno spesso imposto il ritmo perché dotate (le mafie) di una loro classe dirigente capace di guidare le proprie schiere approfittando della farraginosità dell’apparato burocratico, degli interessi personali e della tendenziale ritrosia all’assunzione delle responsabilità da parte degli amministratori pubblici”.

Se questo è il quadro, viene da dire, il problema non è semplificare ma sostituire (gli amministratori).

La relazione della DIA fornisce in ogni caso un contributo fondamentale di conoscenze e di previsioni in merito ai possibili terreni di infiltrazione post-Covid da parte delle mafie e riassumerli è doveroso.

“L’attuale grave crisi sanitaria si presenta per le organizzazioni criminali come una opportunità per ampliare i propri affari. Una strategia che le mafie potrebbero perseguire anche mettendo in atto un’opera di distrazione dell’attività delle Forze di polizia, sia alimentando forme di azione anche violenta, sia favorendo l’incremento di reati che hanno immediato effetto sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica o comunque alimentando forme di protesta sociale”. Il primo rischio dunque è quello di una sorta di “strategia della tensione” che allontani occhi e orecchie dall’azione silente delle mafie.

“Passando ad una disamina delle singole organizzazioni criminali, la criminalità organizzata calabrese, nell’offrire sostegno economico a famiglie in difficoltà e proponendosi come benefattrice, potrebbe determinare una pericolosa dipendenza, da riscattare a tempo debito. Si pensi, ad esempio, ai lavoratori in nero o a quelli sottopagati che costituiranno un bacino di voti utili alle finalità delle consorterie criminali in occasione delle elezioni o a coloro che si troveranno costretti dalle cosche – pur di garantire un sostentamento alle proprie famiglie – a diventare custodi di una partita di armi o di droga, trasportatori o spacciatori”. E perché no prestatori di nomi e cognomi per intestazioni fittizie di società, come le storie di tante inchieste emiliane ci hanno raccontato nell’ultimo anno.

“Naturalmente, il rischio è concreto anche in capo agli imprenditori in difficoltà, ancor più bisognosi di liquidità per mantenere viva l’azienda, per pagare i dipendenti, per far fronte ai debiti ed alle spese di gestione e per pagare le tasse. Su di loro incombe il pericolo dell’usura e dell’estorsione finalizzata all’espropriazione dell’attività”. Aemilia ci racconta che è già successo. La Dia elenca poi i settori commerciali e industriali più colpiti dal lockdown e dunque più a rischio: “Commercianti al minuto, alberghi, ristoranti, pizzerie, attività estrattive, commercio di autoveicoli, industrie manifatturiere, edilizia e attività immobiliari, ciclo del cemento, noleggi, agenzie di viaggio, lotterie, scommesse e case da gioco. Altri ambiti d’interesse sui cui le cosche calabresi continueranno a lucrare sono i servizi di smaltimento dei rifiuti sanitari prodotti a seguito dell’emergenza, nonché i servizi funerari, messi a dura prova dall’elevato numero di decessi a causa del virus.

L’emergenza sanitaria potrebbe offrire l’occasione per ottenere appalti legati sia alla distribuzione di presidi medicali che allo smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri. Un business che offre, per giunta, la possibilità di distribuire posti di lavoro ad affiliati o di subappaltare ad aziende di riferimento, consolidando così la base del proprio consenso sociale”.

Sul tema semplificazione la relazione della DIA torna nelle riflessioni finali del focus sul Covid: “Si deve tendere ad una radicale semplificazione delle procedure di affidamento di tutti gli appalti e servizi pubblici, necessaria per una rapida assegnazione delle risorse”.

Coniugare rapidità negli interventi con tutela dalle infiltrazioni è dunque la vera scommessa di oggi e domani. Il tema è stato di recente affrontato, su proposta di CGIL, CISL e UIL, anche dalla “Consulta regionale per la legalità e la cittadinanza responsabile” dell’Emilia Romagna.  L’obbiettivo è dare vita ad un “Nuovo patto per il lavoro e per il clima”, è stato detto, che dovrà avere come pilastro la “legalità”.

Parola semplice, bellissima, assai impegnativa.

 

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