Verità per Giulio Regeni

GRAZIE PREFETTO DE MIRO. IL SUO RIGORE E IL SUO CORAGGIO NON ANDRANNO MAI IN PENSIONE

“Cara dott.ssa Antonella De Miro,

nei giorni in cui lei guadagna la pensione, dopo quarant’anni di infaticabile lavoro nelle prefetture di tante città italiane, riteniamo giusto e doveroso sottolineare l’importanza dell’attività da lei svolta sui temi del contrasto alle mafie nei nostri territori, della lotta per l’affermazione della legalità e dei diritti. Di questa battaglia, che come CGIL abbiamo assunto tra i nostri compiti prioritari, lei è stata protagonista fondamentale nella nostra Emilia-Romagna, in anni in cui la crisi economica, le conseguenze del terremoto, l’accresciuta forza delle cosche, hanno concorso ad aggredire il sistema di valori e regole che riteniamo insostituibili in uno Stato democratico. Di questa aggressione i cittadini e i lavoratori sono i primi a subire le conseguenze, attraverso la compressione dei loro diritti e delle libertà fondamentali. Contro questa aggressione l’abbiamo avuta al nostro fianco, e siamo stati al suo fianco, negli anni difficili tra il 2009 e il 2014 in cui lei ha guidato la prefettura di Reggio Emilia.

Abbiamo allora apprezzato il suo rigore e il suo coraggio, ampiamente documentati dalle sentenze di Aemilia, ed abbiamo seguito con ammirazione il lavoro che con eguale coraggio lei ha portato avanti nella sua Sicilia in questi ultimi anni. Siamo convinti che anche in futuro le sue competenze saranno utili e necessarie alle nostre comunità per vincere le sfide ancora aperte. La prima di queste sfide coinvolge le centinaia di migliaia di lavoratori che rappresentiamo in Emilia-Romagna e la possiamo riassumere in un semplice concetto: non si torna indietro. Non si barattano le libertà, non sono consentite violenze, non si calpestano i diritti. Per questo siamo e continueremo ad essere Parte Civile, come CGIL, in tutti i processi di mafia del Paese, a partire da quelli importanti aperti nella nostra regione. Per questo ci mobiliteremo e ci batteremo ogni giorno e in ogni luogo in cui ciò sia necessario. Sapendo, ne siamo convinti, di incontrare anche il suo apprezzamento.
Grazie di cuore prefetto De Miro; grazie per tutto ciò che ha fatto per noi e grazie per tutto ciò che farà in futuro”.

Luigi Giove, segretario CGIL Emilia-Romagna
Ivano Bosco, segretario Camera del Lavoro di Reggio Emilia

CONVERSAZIONE CON ANTONELLA DE MIRO
di Paolo Bonacini

Dott.ssa De Miro, cosa prova una combattente come lei nell’andare in pensione?
“Servire lealmente lo Stato, lavorare appassionatamente e con onore per il pubblico bene, come richiesto dalla Costituzione, ha rappresentato l’essenza della mia vita professionale ed umana, fuse insieme. Da questa condizione interiore dell’anima non si va mai in pensione. Sarò sempre il prefetto servitore dello Stato; lo farò diversamente, in altri contesti, ma sempre nella società e per la società”.

Antonio, un bambino di Palermo, le ha mandato in questi giorni un saluto con un breve video commovente. 
“Antonio è un bambino straordinario: può essere considerato il paradigma di Palermo, città costretta nel dolore ad un cambiamento culturale maturato in fretta ma che conserva ancora la freschezza dello slancio ideale. I bambini sono innocenti, istintivi, e avere raggiunto i loro cuori mi conferma del rapporto con i giovani. Ho aperto loro la prefettura e li ho incontrati nelle scuole, privilegiando le periferie, per dialogare di valori per cui vale la pena vivere e lottare, primi fra tutti la libertà ed il rispetto della dignità umana. E quindi la condanna della mafia, nemica della democrazia”.

Immagino siano tanti i bei ricordi legati a questi ragazzi. Quanto è importante la loro consapevolezza? 
“Agli studenti palermitani ho indirizzato il mio saluto di commiato, invitandoli a volare sulle ali dei loro sogni, a vivere la vita con impegno nei valori della giustizia, della solidarietà, dell’ascolto dell’altro. Il ricordo più bello è racchiuso in una foto al tavolo del Coordinamento con i ragazzini dello Zen, da me chiamati a raccontare alle istituzioni della città i disagi del loro quartiere”.

“Con i giovani ho avuto un rapporto speciale anche a Reggio Emilia; penso alla mostra sui ‘Reggiani verso l’Unità d’Italia’ che abbiamo allestito assieme alle scuole nei chiostri della prefettura nel 2011, o alla consegna della Costituzione ai neo diciottenni del comune di Poviglio in occasione della festa della Repubblica. Il dono più bello? Il disegno di un bimbo che mi raffigura al balcone del mio ufficio in prefettura, accanto alla bandiera, mentre rassicuro la comunità dicendo: ‘Andrà tutto bene'”.

Se Palermo e la Sicilia sono la sua prima patria, Reggio Emilia è senza dubbio la seconda. Nostalgia della Pianura Padana?
“Assolutamente. A me che ho dentro l’energia e la potenza del mare manca talora il vostro paesaggio: la campagna di casa Cervi, il Po. Mancano i ponti di Calatrava che segnano Reggio Emilia nell’indifferenziato scorrere della pianura. A volte mi prende nostalgia dell’Appennino, dalla Pietra di Bismantova al bosco delle Veline. I vostri luoghi sono diventati anche per me luoghi dell’anima”.

Le nuove mafie sono saldamente radicate tanto in Sicilia che in Emilia-Romagna, e si mimetizzano più abilmente di prima nell’intercettare appalti, finanziamenti, bisogni e attività del tessuto economico/imprenditoriale. Come possiamo vincere questa nuova sfida? 
“Dobbiamo difendere la nostra preziosa e avanzata legislazione antimafia, di prevenzione e di repressione. Quel sistema del doppio binario intuito da Falcone, via via arricchito nel tempo di norme che trovano il loro massimo compimento nel codice antimafia. Da prefetto ribadisco l’importanza della prevenzione amministrativa e proprio l’esperienza reggiana ce ne conferma l’efficacia. Per questo vedo con preoccupazione alcune posizioni che mirano ad un indebolimento delle misure in nome di una pretesa difesa della libertà e dalla paura. Alla minaccia asimmetrica della mafia occorre rispondere con strumenti che consentano in tempo reale di coglierne i cambiamenti e le sempre mutevoli forme di infiltrazione nell’economia legale.
La difesa della democrazia non può per questo prescindere da una legislazione che consenta di “smontare le reti e le gabbie costruite dalle mafie” a discapito dei cittadini, dei lavoratori, delle imprese e talora delle amministrazioni locali. Tuttavia difenderci a casa nostra non basta più: la sfida del contrasto della criminalità organizzata mafiosa deve coinvolgere con un medesimo sentire gli altri stati europei, perché la mafia economica non ha confini”.

Se la prevenzione amministrativa è così importante, come anche il processo Aemilia ha dimostrato, le Prefetture sono sufficientemente attrezzate per questo compito o servono un cambio di passo e magari nuovi investimenti? 
“Le Prefetture hanno dimostrato di essere all’altezza del delicato compito e le interdittive sono un fondamentale strumento della prevenzione che si affianca all’azione giudiziaria. Tuttavia la prevenzione e la repressione devono essere accompagnate e sostenute anche da un impegno corale degli enti locali, del mondo dell’impresa, delle professioni e della società civile. Servono lo sforzo ed il coinvolgimento di tutti; nessuno deve sentirsi chiamato fuori. Guai a pensare che la lotta alla mafia riguardi soltanto l’azione di contrasto dello Stato. Senza distrazioni colpevoli e complicità di apparati burocratico amministrativi, senza consulenze in ambito economico, giuridico, finanziario, la mafia sarebbe solo un potere criminale più facilmente aggredibile e magari già definitivamente sconfitto”.

L’emergenza coronavirus secondo molti esperti verrà cavalcata dalle mafie per intercettare finanziamenti e opportunità di infiltrazione in vecchi e nuovi settori produttivi. Cosa ne pensa?
“La mafia è pronta per approfittare delle difficoltà che in questo momento attraversano gli operatori economici e della crisi di liquidità. Il processo Aemilia ha dimostrato la rapacità della ‘ndrangheta, che tenterà di acquisire imprese ed attività commerciali in sofferenza, come anche di intercettare attraverso prestanome i finanziamenti pubblici. Il Ministro dell’Interno ha già dato al riguardo precise e rigorose indicazioni di vigilanza ai prefetti”.

Le richieste di misure alternative al carcere in questa fase di emergenza sanitaria si moltiplicano e c’è il rischio che importanti boss rientrino nei territori d’azione. Come deve comportarsi lo Stato nel coniugare il diritto universale alla salute con la specificità delle condanne per il 416 bis? 
“I detenuti mafiosi colpevoli di gravi reati contro lo Stato, molti dei quali sono oggi al 41 bis, devono poter essere curati, se ammalati, nel circuito carcerario. La detenzione domiciliare con il conseguente ritorno a casa non può che rafforzare il loro prestigio mafioso nei territori di provenienza. Sono certa che la nuova dirigenza DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Giudiziaria) saprà porre mano ad una organizzazione che renda possibile le cure necessarie in stato di detenzione”.

Ci sono donne di mafia, donne che hanno subito la mafia, donne che l’hanno combattuta senza riserve. Lei a Corleone, assieme alle commissarie del Comune, ha avuto la forza e il coraggio di cambiare il nome di via Scorsone, dove c’è la casa di Totò Riina, per intestarla al giudice Terranova, vittima del boss di Cosa Nostra. C’è uno specifico femminile nella battaglia alle mafie?
“La lotta vera e autentica alla mafia ha bisogno di una forte motivazione per l’affermazione della legalità e della giustizia a difesa della democrazia. Quindi non conosce differenze di genere. Non posso, tuttavia, non considerare che quattro donne, un prefetto e tre commissarie, ci hanno messo il cuore e la cocciuta determinazione a rendere visibile la forza e l’autorevolezza dello Stato piantandone la bandiera fin quasi davanti all’uscio di casa Riina…È stato un atto di amore alla memoria di Cesare Terranova, il magistrato che per primo capì la pericolosità dei corleonesi”.

 

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