Verità per Giulio Regeni

APPELLO AEMILIA, 712 ANNI DI CARCERE PER 93 IMPUTATI

di Paolo Bonacini, giornalista

L’aula del Tribunale di Bologna, al piano terra del carcere della Dozza, giovedì 17 dicembre 2020 ha spento le luci dopo l’ultima udienza del processo d’appello di Aemilia. Anche là, come a Reggio Emilia, prima non c’erano ambienti sufficientemente grandi per ospitare il più grande processo alla ‘ndrangheta celebrato nel nord Italia. Grande come il numero degli imputati: 118 quelli giudicati ieri. Grande come gli anni di carcere confermati dalla sentenza di secondo grado: 712. Il confronto col primo grado è difficilmente omogeneo, perché le sentenze del 2018 furono due (abbreviato e ordinario) e non è possibile fare la somma aritmetica, perché la riunificazione dei riti in Appello produce riduzioni di pene anche se confermate. Comunque allora gli anni di galera decisi dalla Corte furono 898 + 325 per 148 imputati. Tanti, come tanti sono quelli dell’Appello. Il 119esimo imputato, Gianluigi Sarcone, verrà giudicato da un diverso Collegio l’11 gennaio 2012. Il 120esimo, Pasquale Brescia, autore della lettera minatoria inviata nel 2016 al sindaco di Reggio Luca Vecchi (altra condanna in altro processo) la sentenza del diverso Collegio l’ha già avuta nell’ottobre scorso: 13 anni di galera. Per entrambi è stato deciso lo stralcio conseguente alla ricusazione di un giudice.

A leggere il dispositivo, dopo 11 mesi di udienze e sei ore di Camera di Consiglio, è stato il presidente della Corte d’Appello Alberto Pederiali che dal 13 febbraio scorso, con modalità fortemente condizionate dalle misure di sicurezza anticovid, ha condotto il dibattimento in aula assieme ai colleghi Maurizio Passarini e Giuditta Silvestrini.  26 persone (condanne minori in primo grado) vengono assolte. Due accuse di associazione mafiosa sono cadute (Francesco Lomonaco e Gabriele Valerioti) mentre per tutti gli altri imputati condanne confermate o ridotte solo in parte. La cosca di ’ndrangheta operante in Emilia Romagana, autonoma ed evoluta rispetto alla casa madre dei Grande Aracri di Cutro, esiste dunque anche per la Corte di Bologna e la sentenza di primo grado, fortemente contestata dagli avvocati difensori, regge alla verifica dell’Appello.

L’associazione a delinquere di stampo mafioso viene confermata per Giuseppe Iaquinta (13 anni di carcere), padre del calciatore della nazionale Vincenzo, campione del mondo in Germania, che ha ottenuto a sua volta uno sconto di pena (da 2 a 1 anno) e la condizionale. Michele Bolognino, unico dei sei capi cosca che aveva scelto il rito ordinario, è condannato a 21 anni e 3 mesi. L’imprenditore modenese Augusto Bianchini, accusato di essersi rivolto alla ‘ndrangheta per la gestione dei cantieri post terremoto del 2012, a processo con la moglie Bruna Braga e con il figlio Alessandro, prende 9 anni. Altri titolari d’impresa condannati con pene ridotte sono Omar Costi (9 anni e 8 mesi), Mirco Salsi  (3 anni) e Silvano Vecchi (2 anni). Assolto invece, come richiesto anche dal PM Valter Giovannini per l’accusa, l’imprenditore modenese operante nel campo dei prodotti petroliferi Gino Gibertini. Tra le famiglie di origine calabrese insediate a Reggio Emilia riceve un duro colpo quella dei Vertinelli, imprenditori prima estorti dalla ‘ndrangheta e poi saliti sul carro dei mafiosi. 17 anni e 4 mesi a Palmo, 16 anni e 4 mesi al fratello Giuseppe, 4 anni a testa ai 3 figli. Condanne pesanti anche per la famiglia dei Muto: 12 anni a Luigi, 10 anni e 8 mesi ad Antonio (classe ’55), 11 anni e 4 mesi all’Antonio del ’78, 8 anni e 6 mesi a quello del ’71. Nove anni infine per il collaboratore di giustizia Salvatore Muto, che usufruisce della unificazione per continuità del reato con il processo Pesci relativo ai fatti mantovani della cosca. Altre condanne pesanti, dai 7 ai 23 anni di carcere, copiscono uomini di spicco della cosca che tanto in appello a Bologna come nel primo grado a Reggio hanno tentato di difendersi dicendo: ho fatto molti sbagli nella mia vita, e li ho pagati, ma nella ‘ndrangheta mai. Uomini come Gaetano Blasco, i fratelli Amato, Carmine Belfiore, Antonio Crivaro, Gianni Floro Vito, Vincenzo Mancuso, Mario Vulcano.

Nel complesso queste sentenze strappano il sorriso alla Procura Generale, rappresentata in aula da Lucia Musti, Luciana Cicerchia, Valter Giovannini e da Beatrice Ronchi, PM del primo grado assieme a Marco Mescolini. Agli avvocati difensori dei 93 condannati resta invece la strada della Cassazione.

Poco prima della sentenza, all’apertura dell’udienza, alcuni imputati avevano rilasciato le ultime dichiarazioni spontanee per ribadire la loro innocenza. Francesco Amato, l’uomo che dopo la condanna di primo grado a 19 anni aveva sequestrato cinque persone minacciandole di morte con un coltello all’interno di un ufficio postale a Reggio Emilia, ha citato i nomi dei giudici e dei PM del primo grado, aggiungendo quello del sostituto procuratore generale dell’appello Lucia Musti, per dire: “Questi sono la vergogna del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella”. Alfredo Amato, condannato a 19 anni come il fratello in primo grado, è intervenuto subito dopo in sua difesa: “Perdonate mio fratello – ha detto – sembra cattivo ma non lo è. Come tutti noi che non siamo mafiosi è arrabbiato per essere stato condannato e in più lui soffre di disturbi mentali. Se fosse stato sano, non andava certo in Posta a sequestrare persone”. Sono le ultime parole del dibattimento al processo d’Appello di Aemilia. Sei ore dopo arriva la sentenza: Alfredo Amato è condannato a 17 anni, suo fratello Francesco a 16 anni e 9 mesi.

Riportiamo a parte il database completo delle sentenze relative ai 120 casi discussi nell’appello di Aemilia: DATABASE COMPLETO DELLE SENTENZE APPELLO AEMILIA

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